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cavart - Architettura culturalmente impossibile
   
 

Dal 7 al 12 luglio si è svolto sui Colli Euganei promosso dal Cavart, un seminario-laboratorio dal titolo Per un’architettura culturalmente impossibile dove il riferimento alla cultura è rivolto a quella ufficiale.

I Cavart sono un gruppo operante a Padova da quattro anni che tra i propri obiettivi pone quello della riappropriazione delle cave abbandonate dei Colli Euganei da parte della collettività per un loro uso pubblico, riuscendo a trasformare una volta tanto un oggetto di speculazione in uno culturale.

Il seminario.

Oltre all’intento già detto ̶ il seminario ha avuto luogo nella splendida cava di Monte Riccio nei pressi di Monselice (PD) ̶ il seminario si proponeva di svolgere un dibattito critico attraverso un coinvolgimento diretto e totale dei partecipanti. In un momento di ricerca come l’attuale ci sembra assai importante riuscire ad affiancare al momento-dibattito un momento-laboratorio. Questo, secondo noi, è rimasto l’aspetto fondamentale dell’evento.

Nel caso dello ziggurat di cui siamo responsabili assieme ad Alessandro Mendini, Paola Navone, Nazareno Noja, il problema della forma è del tutto marginale; semmai era stata scelta per dimostrare che non è il disegno da solo che fa un’architettura, ma il materiale, la tecnica di costruzione, l’ambiente, etc. […]

 


   

Se il discorso non è sulla forma, tanto meno si può accettare, nell’attuale battaglia per il rinnovamento dell’architettura, la semplice e polemica contrapposizione proposta da Zevi tra un’architettura selvaggia e una illuminista. Peggio vedere questa divisione soltanto nel disegno dell’oggetto architettonico, peggio ancora confondere il disegno con la sola siluette. Così facendo si rischia di confondere il fienile del contadino con il tempio dorico e i villaggi dell’Aga Khan sulla costa Smeralda per architettura povera. […]

Tornando ai risultati del seminario certamente è un errore interpretarli come delle proposte operative; laddove l’intento era di vagliare, verificare, discutere, capire certi parametri che sono alla base dell’attuale sforzo di rinnovamento.

Tra questi svolge un ruolo fondamentale quello della partecipazione. Partecipazione, oltre a tutto il resto, vuol dire anche recupero del contatto con la materia, ricomposizione del binomio lavoro fisico-lavoro mentale.

Non è certamente possibile avere la pretesa di discutere di queste cose soltanto su un piano dialettico lasciando agli altri i compiti operativi. Se l’architettura è caduta nell’attuale dramma edilizio, diventando da un lato mero prodotto di speculazione commerciale, da un altro fredda trasposizione di elucubrazioni accademiche, ciò si deve in gran parte al distacco progressivo e sempre maggiore degli operatori dalla realtà intrinseca della materia.

 

   

Accanto alla partecipazione, in architettura, va accettato il concetto di mobilità, che non significa soltanto mobilità dal suolo ma anche da schemi, codici, etc.

Questi sono punti di passaggio obbligati per chi crede ad un rinnovamento della disciplina; in questo senso il seminario della Cavart ha dato un contributo fondamentale.

Aver impostato il discorso così come abbiamo fatto noi sulla partecipazione e mobilità non vuole affatto dire che l’architettura non abbia una forma, o che questa non ci interessi.

Architettura in quanto risposta a precise esigenze antropologiche, assolve anche al compito di identificare, di segnare. Direi anzi che questa è una delle esigenze fondamentali dell’architettura, accanto a quella di ricovero.

Resta da stabilire che cosa è segnare, che valore ha un segno, che ruolo deve svolgere: segno per segno ci va molto meglio una piramide che non una forma pseudo moderna.

(Almerico de Angelis, 1975)